martedì 10 gennaio 2012

I tormentati rapporti tra giornalisti e forze dell'ordine...


Anni fa, quando non ero ancora un cronista, passando da via Crivelli a Magenta venni attirato da una scena che mi apparve alquanto strana. Lungo il marciapiede, più o meno all'altezza del ciclista “Colombo” erano implotonati una decina di ragazzi. Tutti dalla pelle olivastra, tutti con lo sguardo assente. Mi fermai dal lato opposto della strada e osservai con attenzione cosa stava succedendo. Quei giovani erano “guardati a vista” da un carabiniere con la mitraglietta puntata, mentre un altro militare era intento a scrivere su un foglio. Mi chiesi chi fossero quei ragazzi. Sospettai fossero personaggi potenzialmente pericolosi, ladri, rapinatori, stupratori, assassini. Dopo una decina di minuti che osservavo la scena il carabiniere che scriveva arrivò verso di me con fare minaccioso e iniziò ad urlare: “Lei che cazzo ha da guardare? Se ne vada o la faccio portare in caserma per l'identificazione!”. E io, ingenuamente: “Vorrei solo sapere chi sono quei ragazzi e quale reato hanno commesso. Me lo può dire?”. E il carabiniere: “Che cazzo te ne frega, vattene o mi incazzo davvero!”. E me ne andai. Con la convinzione che, a mio modesto avviso, la gente, aveva il diritto di sapere cosa avessero fatto quei ragazzi. Non lo venni mai a sapere. Passarono gli anni e, purtroppo, da oltre un decennio faccio il cronista di nera e i rapporti con i carabinieri non sono per nulla cambiati da quella sera in cui ebbi quel triste dialogo con quel militare. Per i carabinieri è importante “controllare” la stampa. Fornire solo le informazioni strettamente necessaria per garantire ai lettorri “che loro ci sono, lavorano e garantiscono sicurezza”.
Agli inizi della mia carriera di cronista di nera si telefonava al comando compagnia dove un maresciallo, che aveva ricevuto l'incarico di fornire le informazioni alla stampa, elencava i fatti accaduti nella giornata. Rapina a Magenta, un arresto a Sedriano e stop. Un lavoro che anche un bambino delle elementari poteva fare, ma almeno si sapeva qualcosa. Con il passare degli anni le cose sono, di gran lunga, peggiorate. Il flusso di informazioni deve essere visionato solo dal comandante di compagnia, o dal suo vice. Si manda qualche comunicato di tanto in tanto, nella maggior parte dei casi non conforme all'accaduto. Faccio un esempio. Recentemente si è verificata una rapina in un supermercato del magentino. I CC mi chiamano e mi rifilano la loro versione: “La pattuglia in servizio contro in reati predatori, accortasi che era in corso una rapina, interveniva prontamente e acciuffava i lestofanti”. Peccato che il giorno dopo il magazziniere del tal supermercato, letto l'articolo, informava la mia redazione che era stato lui ad acciuffare il malvivente e a chiamare i carabinieri. E' solo uno dei tanti esempi che potrei fare. Mi si dirà che sono i giornalisti a bloccare le indagini e rovinare il lavoro dei carabinieri che rischiano la vita. Risposta: e allora? La vita la rischio anch'io e non ho mai rovinato un'indagine facendo il giornalista. Anzi, nella maggior parte dei casi sono riuscito ad acchiappare testimonianze importanti che a loro mancavano. Ed è proprio questo il punto dolente. Ai carabinieri non va proprio giù che i giornalisti indaghino. Anzi li fai incazzare e basta! Che poi i carabinieri abbiamo un pessimo rapporto con i cronisti è scontato, ma che a volte si permettano di insultare le vittime di un reato è davvero sgradevole. Alcuni mesi fa si è verificata una rapina a casa di un'anziana. Il giorno dopo vengo ripreso dal comandante: “Queste notizie non dovrebbero mai uscire! Era una...”. Non continuo, perchè quello che ho sentito al telefono quella volta era davvero ignobile. Cambierà il rapporto tra carabinieri e giornalisti?Ne sono convinto, in peggio sicuramente. (quella che ho scritto è solo una riflessione generale. Ho conosciuto persone che indossano la divisa e che sono assolutamente da ammirare. Per fortuna che ci sono)


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